Alluvioni ed epopea di Gilgamesh

L’Epopea di Gilgamesh narra le avventure del re sumero Gilgamesh, accompagnato dal fido aiutante Enkidu. Quando Gilgamesh incontra Utnapishtim, l’unico uomo che ha ottenuto l’immortalità dagli dèi, lì si racconta probabilmente per la prima volta nella letteratura mondiale di un’alluvione. Utnapishtim racconta la storia del diluvio universale che ha distrutto l’umanità, ad eccezione di lui e di sua moglie, che sono stati salvati grazie alla costruzione di una grande nave su indicazione degli dèi.

Le somiglianze con il racconto biblico di Noè si sprecano, ma abbiamo diversi parallelismi anche in altre mitologie antiche, dovute probabilmente a grandi inondazioni realmente accadute. In entrambi i racconti, un uomo viene avvertito da una divinità dell’imminente disastro e gli viene ordinato di costruire un’imbarcazione per salvarsi insieme alla sua famiglia e a una coppia di ogni specie animale. Al termine dell’alluvione, l’uomo offre un sacrificio agli dèi e viene benedetto con la promessa che un simile evento distruttivo non si verificherà mai più.

Il simbolo dell’alluvione per Gilgamesh

L’alluvione nell’Epopea di Gilgamesh assume un significato simbolico e metaforico che va oltre l’evento catastrofico in sé, ed entra piuttosto in quella serie di eventi di purificazione e rigenerazione che redimono la terra..

Il racconto del diluvio universale, peraltro, riflette le paure e le speranze delle antiche culture mesopotamiche, che vivevano in un’area soggetta a frequenti inondazioni. Le alluvioni erano eventi naturali che potevano causare grandi distruzioni, ma anche portare nuova fertilità ai campi e alla vita dell’uomo, come abbiamo sentito spesso ripetere quando si parlava delle piene del Nilo. L’alluvione diventa così fattualmente un simbolo di morte e rinascita, di distruzione e rigenerazione (fattualmente nel senso di “fuor di letteratura”).

Nel testo si impara a non peccare di ubris e rimanere consapevoli dei limiti umani. Tra questi, la mortalità: Utnapishtim, pur avendo ottenuto la vita eterna, vive in isolamento e non può sfuggire al peso di quella che sembrava un dono, ed è divenuta invece una maledizione. 

L’ordine sociale e cosmico, del resto, hanno le loro radici nell’umiltà e nell’accettazione dei limiti invalicabili e delle costrizioni che la natura ha imposto.

Ciò che è invalicabile, rimanga invalicabile.