Come distinguere un paroliere da un poeta? 

Con l’avvento del rap e della poesia in uno schema metrico preciso, si è iniziato a parlare anche a livello popolare della figura del paroliere. Non sono a conoscenza di un dibattito preesistente sulla differenza tra paroliere e poeta, ma ne sento parlare molto adesso soprattutto in terra statunitense, dove ad esempio il rap assunto una certa caratura artistica, e ci si chiede se i suoi autori possano essere assurti al rango di poeti.

Il poeta è una figura da sempre bersaglio di definizioni diverse. 

Interprete dello spirito del tempo? 

Oppure interprete dei profondi moti dell’animo umano? 

In controtendenza rispetto allo spirito del tempo oppure in linea con la figura di vate?

Inviso all’ordine costituito? 

Prévert è un poeta?

Prévert viene spesso considerato un poeta, non solo per la sua indiscussa abilità espressiva, a anche per la sua vena così popolare e anticonformista.

Qualcuno si chiede però se sia più un poeta chi riesce a esprimere i moti di una massa.

Inoltre, e stavolta lo chiedo io: il successo di pubblico può essere una indicazione dell’assunto ruolo di poeta? 

Certo, non è mia intenzione affidarmi pedissequamente all’Accademia e compilare degli atlanti mentali di conseguenza.

Se accettiamo con la definizione di poeta colui che coglie altro oltre all’ordinario e lo spiega o non lo spiega con le parole, allora il paroliere assume più una connotazione di artigiano delle parole, di musicista.

Jacques Prévert fu un paroliere

A mio parere Prévert fu un paroliere, e non un poeta. 

Si dilettò di sceneggiatura, e quindi di cinema, di musica e di teatro e infuse in ognuna di queste branche un personalissimo tocco e una serie di elementi della cultura del tempo oppure in controtendenza.

Non mi sento di dire che seppe cogliere in modo particolarmente arguto lo spirito del tempo.

Di sicuro seppe rappresentare l’insoddisfazione, il radicalismo e le tendenze a scrollarsi di dosso le etichette di una certa categoria di gruppi anarchici e in generale di pensatori con più o meno rilievo.

Del resto però anche una persona con poca o pochissima cultura può volersi scrollare di dosso le etichette: l’iconoclastia mette al centro dell’attenzione e soddisfa un biologico desiderio di noi Sapiens Sapiens.

Quindi direi che non è sufficiente essere voce di un ristrettissimo gruppo per raccontare sé stessi in una serie di parole più o meno accettabili.

Ecco perché considero Jacques Prévert un paroliere. Come artigiano della parola e come creatore di emozioni e di situazioni, ci siamo. Ma chi potrebbe votare alle sue parole la propria vita, immolarsi e sceglierlo come proprio poeta preferito? 

Quanto di rimarrà tra 200 anni di Prévert? 

Leggendo Saffo o Catullo oggi siamo in grado di realizzare una comunanza con il moderno sentire, ed è straordinario se pensiamo a quanti secoli sono passati.

Io credo che il paroliere sia piacevole, abbia dignità letteraria, ma non necessariamente sopravviva a una soglia dell’attenzione storica bassa.

E con questa espressione sentenziosa congedo Jacques Prévert – di cui ho già parlato più che abbastanza.