Jacques Prévert: parole di un difensore del libero pensiero

La popolarità di Prévert in Francia deve certamente molto al suo stile corrosivo e malizioso, che tratta la critica sociale e la denuncia della manipolazione del popolo con verve, caricatura e umorismo. Grande difensore del libero pensiero, Prévert sapeva anche trascinarci nel flusso di un’emozione traboccante, a volte in poche righe ma con parole semplici e precise.

Ma Prévert non fu solo uno scrittore e poeta: fu anche sceneggiatore cinematografico e drammaturgo, il che lo rende un perfetto poeta popolare, citabile in molteplici forme e versatile per i palati più mono-genere (ovvero, che non escono dal teatro, o dal cinema, o dalla poesia, o dalla letteratura).

Prévert e il surrealismo

Che cosa intendiamo quando parliamo di collage? Io evoco memorie personali legate all’infanzia, quando si ritagliavano e incollavano dei pezzi di carta colorata e fotografie per poi comporli in forme che si presumeva avessero un nuovo significato.

È pressapoco questo il significato di Collage, opera a tutti gli effetti figlia del surrealismo. L’atto creativo di Collage, ma anche delle restanti opere prevertiane, è spiegato dal maestro stesso in un’intervista, in cui parla di una poetica radicata nella propria infanzia. 

Da lì è iniziata infatti una demolizione dei mostri sacri, una vena insieme parodica e atea convinta, che ha rifiutato in blocco qualsiasi dogma etero-imposto.

La sua storia

Per comprendere l’ampiezza della sua tavolozza artistica, dobbiamo anche capire i dettagli della sua storia personale. Jacques Prévert è nato il 4 febbraio 1900 a Neuilly-sur-Seine. Qui ha trascorso buona parte della sua infanzia, immerso nella cultura cinematografica e teatrale, grazie alle passioni del padre, critico d’arte nel tempo libero. Quest’ultimo lo portava regolarmente al cinema, ampliando giudiziosamente il suo orizzonte culturale. La madre, da parte sua, lo ha introdotto alla lettura. Come ha detto lo stesso Prévert nelle sue memorie radiofoniche, è stata la madre a insegnargli a leggere, perché a scuola il bimbo si annoiava a morte.