Paolo Giorgio Bassi

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Le maschere del Carnevale di Venezia, un uso sociale

9 Aprile 2020

Com’è possibile che io non l’abbia menzionato! La definizione di Commedia dell’Arte ha origine da Goldoni, che così la definisce in un suo saggio del 1750 intitolato “Il teatro comico”. Non è casuale che l’interesse per le maschere arrivi proprio da un drammaturgo di formazione veneta.

A Venezia il Carnevale è una cosa seria, e le maschere che lo popolano, anche.

Le maschere del Carnevale di Venezia

Dobbiamo però introiettare un concetto fondamentale: le maschere del Carnevale di Venezia non vanno studiate con la catalogazione estetica. Un approccio del genere riduce incredibilmente la principale ragione della sopravvivenza delle maschere, che era funzionale.

Come oggi nei luoghi pubblici francesi è obbligo scoprirsi il capo, anche il Governo di Venezia si ritrovò spesso messo alle strette dall’eccessiva liberalità dei mascherati. Con una motivazione culturale, o per meglio dire di costume, molti balordi agivano indisturbati, con l’identità protetta dalle belle e socialmente tollerate maschere.

I Decreti che bandivano le Maschere

Il decreto contro le multas inhonestates risale al 24 gennaio 1478.

In sostanza, questi individui di cui parlavamo poco sopra approfittavano della maschera per entrare in conventi e monasteri, e lì irretire le recluse, o anche condurre vere e proprie storie d’amore. Come è possibile con una maschera celare un uomo, starete pensando.

Bene, sappiate che tra le maschere di Carnevale ce n’è anche una apposita per mascherare il gentiluomo da donna: la Gnaga.

Questa fu quindi bersaglio di numerosi decreti, e insieme ad essa il tabarro nero che accompagnava la “larva”, la maschera bianca che lascia scoperta la parte inferiore del volto, consentendo quindi di mangiare. Questo perché sotto il tabarro potevano agevolmente nascondersi armi, e merci rubate. Il nome completo della maschera, conosciutissima, è Baùta.

La maschera obbligatoria a teatro

Per diversi periodi di tempo la maschera fu per le donne un’imposizione legata a alcuni ambienti mondani, come il teatro. Ogni donna sposata che si recava a teatro era obbligata ad indossare la maschera, mentre ogni donna minorenne, viceversa, doveva uscire a viso scoperto.

Un’altra maschera comune era la “servetta muta” o “moretta”. La designazione di “muta” deriva dal fatto che per reggersi questa maschera ovale prevedeva che l’indossasse tenesse in bocca una sorta di bottone.

A questa varietà di maschere aggiungeremo qualche altro dettaglio presto. Restate con noi.

Posted in: Arte Tag: arte, carnevale, maschere, paolo giorgio bassi, venezia

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