Vietare Orwell

In un momento storico in cui la propaganda non è ancora tramontata come metodo privilegiato per orientare le menti delle masse, è curioso interrogarsi sul ruolo che essa aveva in passato.

Quando lessi “1984” di Orwell, ne rimasi profondamente colpito.

Certo, mi lasciò l’amaro in bocca e una serie di riflessioni che non dico mi abbiano tolto il sonno, però sono state decisamente seminali. 

Il concetto di futuro distopico, la rappresentazione di come la libertà individuale fosse un concetto dimenticato e la verità un’entità manipolata sono forse realtà vere tutt’oggi.

Ma un conto è arrivarci con il principio della rana bollita, un altro è leggere un libro che rappresenta uno scenario con distacco valoriale e circostanziale netto dalla realtà in cui si vive.

Poi, avendo una certa inclinazione alla sociologia e alla politica, vedere come il Partito dominante modificava la realtà a suo piacimento mi innescò, questo sì, lo ricordo bene, un forte senso di ingiustizia. Quasi di lesa maestà!

Per la proprietà privata e la limitazione della libertà, erano allora tempo diversi e c’era chi concepiva politicamente la privazione della libertà in nome di un obiettivo più ampio. Il moralismo antimorale dilagante rendeva plausibile molto, circa la libertà personale.

Ma la questione della realtà distorta faceva molta paura.

Ecco perché non mi stupisce che durante l’Unione Sovietica si fosse deciso di censurare questo testo. L’attenzione così capillare alla propaganda faceva sì probabilmente che i propagandisti cogliessero anche delle sfumature che oggi non cogliamo.

E quindi, la manipolazione dell’informazione, di cui veniva non troppo velatamente tacciato il regime staliniano, era qualcosa di intollerabile, di inammissibile.

Soprattutto se l’accusa veniva da un solido esemplare di una cultura libertaria diametralmente opposta come quella anglosassone.

I personaggi, in particolare il protagonista Winston Smith, sono disperatamente umani nelle loro lotte quotidiane contro il controllo totale. 

Anche questo ha contribuito a rendermi il romanzo più digeribile, e mi ha spinto a riflettere sulla natura della libertà e sulla fragilità delle istituzioni che dovrebbero preservarla.